Per riuscire a ridurre, o quanto meno a non accrescere il debito pubblico, aumentando al contempo l’occupazione, bisogna potenziare le attività produttive nei settori in cui i costi di investimento si ammortizzano con i risparmi sui costi di gestione che consentono di ottenere. Per individuare questi settori occorre uscire da una concezione dell’economia come attività autoreferenziale basata sulla dinamica tra la domanda e l’offerta, e intervenire nelle fasi in cui la produzione e i consumi impattano con gli ecosistemi terrestri: nel prelievo delle risorse, nei processi produttivi che le trasformano in merci e beni, nella riduzione delle merci e dei beni in rifiuti, con l’obbiettivo di sviluppare tecnologie che riducono gli sprechi e le inefficienze: ovvero consentono di ridurre al minimo il prelievo di risorse, le immissioni di sostanze nocive nei cicli biochimici e la produzione di rifiuti. Anziché nella costruzione di grandi opere occorre investire nella ristrutturazione energetica degli edifici esistenti (adottando subito e andando oltre la Direttiva 2010/31/CE), nella riduzione delle perdite nelle reti idriche e nel recupero delle acque piovane, nella manutenzione degli edifici pubblici, nel ripristino della bellezza dei paesaggi deturpati negli scorsi decenni da un’edilizia volgare e invadente, nel potenziamento dei trasporti pubblici locali, nella rinaturalizzazione dei quartieri urbani dove insistono edifici industriali o palazzi abbandonati (come si sta facendo a Detroit), nello sviluppo delle fonti rinnovabili in piccoli impianti per autoconsumo, nel recupero e riciclaggio dei materiali contenuti negli oggetti dismessi, nell’agricoltura tradizionale di prossimità, nel commercio locale, nell’accorciamento delle filiere tra i produttori e gli acquirenti. Oltre a creare più occupazione delle grandi opere, a differenza delle grandi opere queste attività hanno un’utilità intrinseca e ripagano i costi d’investimento con la riduzione degli sprechi e dei consumi di materie prime, per cui non fanno crescere i debiti pubblici, non richiedono tecnologie potenti ma evolute e il recupero di tecniche artigianali tradizionali, non possono essere svolte da aziende multinazionali che operano sui mercati mondiali, ma solo da piccole e medie imprese, artigiani specializzati e studi tecnici radicati sul territorio, in grado di penetrare in tutte le pieghe del sistema, di conoscere tutte le realtà, anche di dimensioni limitate, che necessitano di interventi di ristrutturazione e di realizzarli con costi di investimento e tempi di rientro ridotti, finanziabili da istituti di credito locali.